Il tempo stringe, siamo a dicembre, l’anno è pressoché finito. Scadenze e chiusure a lavoro, regali di natale, ferie da organizzare, cenoni e pranzi da sistemare tra parenti e affini. Il traffico aumenta, il maltempo complica le cose, i malanni di stagione, ecco mancavano solo quelli. Chiusi nei propri giacconi e guanti, aumentano i motivi per entrare in ansia o arrabbiarsi, si moltiplicano le tensioni e le discussioni.
Ok è stress, sì lo conosciamo bene. Gli studiosi usano la metafora dell’elastico per spiegarci cosa ci accade quando lo stress diventa uno stile di vita. Se tendete l’elastico per 1 o 5 minuti, poi ritorna alla sua lunghezza originaria. Se lo lasciate in tensione per giorni, l’elastico si deforma e non torna più alla lunghezza di partenza, bensì si sbrillenta e perde la sua elasticità. Non serve più a niente. Questo per dire che un livello basso di stress non ci rovina, anzi ci tiene in movimento, lo chiamano eustress (stress buono). Quello che ci fa veramente male è il distress, ossia il sovraccarico di stress per un periodo prolungato.
Ora vi domando: da quanto tempo pensate di vivere sotto stress? Anche voi un po’ sbrillentati?
Il punto è proprio questo: vivete perennemente nello stress, senza concedervi spazi che vi riportino in condizioni di vita ‘umane’. Conosco persone che si dicono (e di fatto si ritrovano) talmente impegnate, ma talmente tanto che non fanno altro che lamentarsi. Quando proponi loro di vedersi per una birra, non fanno che tirar fuori motivi per cui non è proprio possibile. E quanto si commiserano e quanto si lamentano!
Stress, autocommiserazione e lamentela. Ossia cibo velenoso con cui alimentate i vostri pensieri: di fatto, vi raccontate che succede tutto a voi e che non ce la fate più.
Più tempo passate su quel pensiero negativo, più gli date da mangiare e più il pensiero cresce. Il pensiero negativo è quello che, a sua volta, alimenta il senso di paura nei confronti della vita, la paura del fallimento, il senso di precarietà. E allora aumenta l’ansia, che vi illudete di contenere tenendo tutto sotto controllo; ma siccome questo non è possibile, più fate così e più fallite e più l’ansia ha motivo di crescere ancora. E così via.
Vi manca l’aria, eh?
Raccontare questo corto circuito ad un counselor, significa iniziare a prendere le distanze e voler cambiare. Significa prendere in considerazione un altro modo di vivere. A partire dalla scelta di quali pensieri nutrire: siete voi a fare la scelta. Il modo in cui vivete le vostre giornate dipende dai pensieri che state alimentando. In un percorso di Counseling, potrete imparare a riconoscere quando e come utilizzare la vostra attenzione (mentale, affettiva, emotiva, fisica e comportamentale) e a non credere a tutto ciò che la vostra mente vi suggerisce. La mente è uno strumento che bisogna imparare ad usare nel modo giusto. Altrimenti è lei che usa te, e tu puoi solo andargli dietro (ricordate l’articolo la mente e i suoi tarli).
Conoscete la metafora del tarlo che si insinua nella testa, vero? Credo proprio di sì. È quel pensiero che viene da lontano, di solito un dubbio su di sé o sulle proprie capacità, che si insinua sempre più, fino a quando non ve lo ritrovate piazzato e ben radicato al centro della vostra attenzione.
Eccovi qua, rientrati dalla pausa estiva: comunque sia andata, avrete visto luoghi e persone diversi dal solito, mangiato in modi e posti diversi da quelli di tutti i giorni. E per far memoria del benessere goduto avrete scattato foto a qualunque angolo, piatto, mare, sentiero, volto, sorriso, avrete postato e condiviso affinché anche gli altri sappiano di quanto siete stati bene!